In un solo anno l’équipe medica ha già registrato miglioramenti. E gli iscritti sono raddoppiati. L’Accademia calcio integrato insegna il gioco di squadra ai piccoli affetti da autismo e disabilità cognitive, aiutandoli a integrarsi. In campo e fuori.
Il primo giorno, di fronte a tutti gli istruttori schierati, Martino non voleva nemmeno entrare in campo. Oggi si sveglia contento, pensando a quando indosserà la sua divisa.
Come lui ci sono altri 29 bambini per cui il pallone era un universo lontano: non parliamo di quello dei Totti o dei Buffon, ma di una banalissima scuola calcio. «Impossibile», si sentivano dire le mamme e i papà. Impossibile far coesistere con gli altri quei bambini considerati un po’ meno uguali degli altri: l’autismo non è solo un’etichetta che ti emargina dal mondo. È anche un muro invalicabile tra te e gli sport di squadra. Puoi correre o nuotare da solo, ma come fai a passare la palla a un compagno, se vivi chiuso nel tuo universo? Da un anno, qualcuno quel muro sta provando a buttarlo giù: la Asd Accademia Calcio integrato e la fondazione Roma Cares, cuore sociale della Roma calcio, hanno cambiato la vita di 30 bambini affetti da autismo (e non solo). «Impossibile»? Macché. Ne è nato un progetto che ha già raddoppiato gli iscritti ed è pronto a diventare un modello.